Massimo Ghini

Tra i primi convinti sostenitori della manifestazione ‘Grido per un Nuovo Rinascimento – Prima Giornata Nazionale dei Lavoratori dello Spettacolo‘, che si è tenuta lo scorso 24 giugno a Roma, l’attore romano Massimo Ghini. Una data importante: ogni anno si ripeterà nello stesso giorno l’evento per vedere gli step che il settore dello spettacolo riesce a fare, cambiando modalità d’azione che fino ad oggi hanno fortemente penalizzato i lavoratori di questo mondo, con il supporto, ci si auspica, di istituzioni e investimenti. Una manifestazione che è un grido degli artisti e degli operatori del mondo dello spettacolo e della cultura, attraverso una complessa e suggestiva messinscena.

Massimo, come è nato il ‘Grido per un Nuovo Rinascimento‘?

“Il grido” è partito da un gruppo di artisti, amici e congiunti durante la quarantena: sono tanti i colleghi, gli amici e i lavoratori che sono precipitati in un baratro perché purtroppo c’era una crisi precedente alla pandemia. Si è sempre investito poco in Italia nella cultura.

La pandemia ha portato a galla vecchi problemi mai affrontati prima?

La pandemia non ha fatto altro che aggravare questa situazione perché sono uscite ancora di più i difetti che questo mestiere si trascina dietro: quindi non è solo “Il Grido” elevato nei confronti di chi giustamente non lavora, ma di tutti quelli che vogliono che questo settori cambi, in meglio, che abbia più rispetto.

Cosa è importante oggi alla luce di questa crisi del settore?

È importante oggi non tanto chiedersi quando tutto ricomincerà, ma come ricominceremo, perché forse tante cose vanno cambiate perché questo è un sistema che non funziona e alla prima occasione di debolezza, come è successo con lo stop totale con il Covid, mostra tutti i suoi limiti.

Tu sei un attore che è sempre stato sulla cresta dell’onda, ma che ha sempre difeso a muso duro il settore

Da parecchi decenni perché io sono stato per almeno 15 anni segretario e poi presidente del sindacato autori italiani quindi diciamo che sono presente e coerente per quello che riguarda le battaglie per il rispetto, il cambiamento e per cercare di dare al mondo dello spettacolo italiano un ordinamento che tuttora non esiste. Parla uno che ha preso premi, lavora da più di 40 anni tra cinema, teatro e televisione. Ma questa è una giungla dove non c’è rispetto perché non c’è scritta una Costituzione in Italia dal punto di vista del mondo degli artisti a qualsiasi livello. Con la pandemia mondiale, e venuti i nodi al pettine, finalmente ci stiamo confrontando nel settore, e non è solo una questione di soldi, che è una questione primaria e va ribadita al Governo che deve preoccuparsi di questo, ma noi stessi ci dobbiamo preoccupare di gridare e chiedere che le regole vengono finalmente cambiate.

Quali sono le regole principali che vorresti cambiare?

Innanzitutto che i contratti vengano rispettati. Bisognerebbe avere il coraggio di denunciare le situazioni drammatiche, il non rispetto dei regolamenti del contratto, pagamenti che non avvengono. Andate a controllare le dichiarazioni o i versamenti che non sono stati fatti all’Enpals o all’INPS o quello che succede nella ripartizione dei soldi. Sono anni che dico queste cose e non è che lo dico oggi per l’occasione, oggi lo ribadisco a gran voce! Il Fondo unico per lo spettacolo (FUS) deve essere rivisto ed è la base di tutti i problemi che viviamo, perché noi alla fine siamo artisti, attori ma siamo operatori di uno Stato a cui arrivano i nostri soldi. Da anni ne parlo e mi dispiace di essere ancora nel 2020 a dire le stesse cose che dicevo nel 1988 quando sono diventato segretario del sindacato, ma la verità è che molti vivono bene in questo tipo di sistema.

Molti chi?

Chi ha potere economico e dirigenziale, non certo noi artisti. Io non è che produco, non è che dirigo un teatro, non ho mai casa di produzione, quindi penso di poter dire tutto quello che voglio ma faccio il mio mestiere da solo e devo cercare di riempire il teatro purché il produttore mandi avanti la baracca, idem al cinema. Io alla mia età continuo a fare i numeri ringraziando Dio, ma ci sono altri che questa cosa non gliene frega nulla. Dovremmo fare gli Stati Generali dello Spettacolo e dire ​​come stanno veramente le cose, ma da noi vige il sistema della paura dal fatto che qualcuno poi qualche modo te la fa ripagare se dici la verità e racconti le cose. Oggi il problema è questo: vita o morte, questo il punto. Oggi mi sento di doverlo dire, poi da domani non farò mai più un film, però sono 40 anni che vivo in mezzo a questa situazione. Ho iniziato quando c’era la crisi e continua ad esserci la crisi però c’è gente che continua a lavorare, produttori che producono e allora c’è qualcosa di strano che non funziona sicuramente. Se ne dovrebbero accorgere tutti.